FIS e Fondi di solidarietà bilaterale con procedura semplificata per alluvione Marche

Con riferimento alle domande di assegno di integrazione salariale trasmesse dai datori di lavoro colpiti dall’alluvione verificatasi nella Regione Marche del 15 e 16 settembre 2022 e rientranti nel campo di applicazione del FIS o dai Fondi di solidarietà bilaterali è applicabile la procedura semplificata riconosciuta per la Cigo (Inps – Messaggio 21 ottobre 2022, n. 3811)

Ai fini dell’accesso alle prestazioni di integrazione salariale l’evento alluvionale che ha colpito la Regione Marche del 15 e 16 settembre 2022 rientra tra gli eventi oggettivamente non evitabili.
Con riferimento ai datori di lavoro rientranti nella disciplina CIGO l’Inps ha chiarito (messaggio n. 3498/2022) che si applica la procedura semplificata.
Con il messaggio n. 3811/2022 l’Istituto precisa che analoga procedura deve ritenersi applicabile ai datori di lavoro rientranti nella disciplina del Fondo di integrazione salariale (FIS) e dei Fondi di solidarietà bilaterali.

In particolare, per le istanze con causali riconducibili a eventi oggettivamente non evitabili (cd. EONE), trovano applicazione i seguenti criteri:
– non rileva il requisito dell’anzianità minima di effettivo lavoro che i lavoratori devono possedere, presso l’unità produttiva interessata, alla data di presentazione della domanda di accesso all’assegno di integrazione salariale;
– le istanze devono essere presentate entro la fine del mese successivo a quello in cui si è verificato l’evento;
– i datori di lavoro non sono tenuti al pagamento del contributo addizionale previsto per il FIS e per i Fondi di solidarietà bilaterali nella misura stabilita dai singoli decreti istitutivi.

Riguardo all’informativa sindacale, l’Inps ribadisce che la stessa non è obbligatoriamente preventiva ed è sufficiente, anche dopo l’inizio della sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, indicare alle rappresentanze sindacali aziendali o alla rappresentanza sindacale unitaria, ove esistenti, nonché alle articolazioni territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, la durata del periodo di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa e il numero dei lavoratori interessati. In proposito, qualora l’informativa non sia stata allegata alla domanda di assegno di integrazione salariale, la stessa può essere prodotta successivamente dal datore di lavoro, in riscontro alla richiesta di integrazione istruttoria formulata dalla Struttura INPS territorialmente competente.

Inoltre, in considerazione dell’entità dell’evento meteorologico che si è verificato nelle giornate del 15 e 16 settembre 2022 nel territorio delle Province di Ancona e Pesaro, i datori di lavoro che hanno sospeso o ridotto l’attività lavorativa nelle unità produttive collocate nel predetto ambito territoriale e che presentano le domande di assegno di integrazione salariale con causale “Incendi – crolli – alluvioni”, non devono dare dimostrazione degli effetti che l’evento ha determinato sull’attività produttiva dell’azienda, in considerazione dello stato di emergenza dichiarato con la delibera del Consiglio dei Ministri del 16 settembre 2022.
Conseguentemente, la relazione tecnica deve limitarsi a descrivere sinteticamente la tipologia delle attività lavorative svolte nelle unità produttive oggetto della domanda e a dichiarare l’avvenuta sospensione delle attività stesse.

Laddove i datori di lavoro, colpiti dalla violenta perturbazione meteorologica, non abbiano potuto riprendere l’attività lavorativa neanche al cessare di detti fenomeni, in ragione del persistere della situazione di impraticabilità dei locali, la domanda di accesso all’assegno di integrazione salariale può essere presentata con la causale “Impraticabilità dei locali anche per ordine di Pubblica Autorità”.
In detta ipotesi, i datori di lavoro possono allegare, ove necessario, il verbale o le attestazioni delle Autorità competenti che accertino la suddetta impraticabilità. Il possesso di tali verbali o attestazioni può essere autocertificato dal datore di lavoro nella relazione tecnica allegata alla domanda. Anche in questo caso, la relazione tecnica può limitarsi a descrivere sinteticamente la tipologia delle attività lavorative svolte nelle unità produttive oggetto della domanda e a dichiarare l’avvenuta sospensione delle attività medesime in ragione dell’impraticabilità dei locali o del persistere della stessa.
Anche per la causale “Impraticabilità dei locali anche per ordine di Pubblica Autorità” – che rientra tra quelle riferibili a eventi oggettivamente non evitabili – si applicano i criteri di semplificazione sopra richiamati.

Riguardo al requisito della ripresa dell’attività lavorativa, l’Istituto precisa che i datori di lavoro interessati possono indicare, nella prima richiesta di trattamento, una data di ripresa basata su ragionevoli previsioni che tengano conto del termine delle operazioni di messa in sicurezza dei locali, di verifica del funzionamento e dello stato di agibilità degli arredi, dei macchinari e degli impianti, dell’attività di pulizia e smaltimento delle acque e dei fanghi, nonché della valutazione di eventuali rischi addizionali.
Qualora detta data non possa essere rispettata per motivate ragioni, il datore di lavoro potrà chiedere una proroga del trattamento di assegno di integrazione salariale in corso, senza pregiudizio della domanda già presentata.

Per l’assegno di invalidità rileva il solo reddito personale

Ai fini della verifica della sussistenza del requisito reddituale previsto per il riconoscimento dell’ assegno di invalidità civile, anche dopo l’ entrata in vigore della I. n. 247/2007, occorre fare riferimento al reddito personale dell’assistito, con esclusione del reddito percepito dagli altri componenti del nucleo familiare. Il principio è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza del 14 ottobre 2022, n. 30250.

La Corte d’Appello territoriale riconosceva alla richiedente il possesso del requisito sanitario per beneficiare dell’assegno di invalidità dalla data della revoca, ma dichiarava il diritto alla prestazione con decorrenza solo dalla data di entrata in vigore dell’art. 10 co. 5, D.L. 76/2013, convertito in legge 99 del 2013, e ciò in ragione della rilevanza del reddito personale, con esclusione di quello familiare, solo per effetto di tale legge sopravvenuta al procedimento amministrativo, in quanto la ricorrente aveva reddito personale utile mentre il reddito familiare superava il limite di legge.

Il ricorso proposto per la cassazione di tale decisione dall’assistita è stato accolto dalla Suprema Corte che ha ricordato che, in tema di assegno di invalidità civile, ai fini della verifica della sussistenza del requisito reddituale previsto per il riconoscimento del beneficio, anche nel periodo successivo alla entrata in vigore della I. n. 247 del 2007 occorre fare riferimento al reddito personale dell’assistito, con esclusione del reddito percepito dagli altri componenti del nucleo familiare.
Il Collegio ha ritenuto, peraltro, parimenti fondato il ricorso incidentale proposto dall’INPS, con il quale la sentenza impugnata veniva censurata per avere essa attribuito la prestazione pur in assenza di prova del requisito dell’ inoccupazione.

I Giudici di legittimità hanno, difatti, precisato che, in materia di pensione d’inabilità o di assegno d’invalidità, a favore degli invalidi civili, il cosiddetto requisito economico ed il requisito dell’incollocazione integrano un elemento costitutivo della pretesa, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio. Tale deducibilità o rilevabilità d’ufficio sono, però, da rapportare alle preclusioni determinatesi nel processo e, in particolare, a quella derivante dal giudicato interno formatosi, qualora il giudice di primo grado abbia accolto la domanda all’esito della verifica del solo requisito sanitario, per effetto della mancata impugnazione della decisione implicita in ordine all’esistenza del requisito economico;

viceversa, nell’ipotesi in cui il giudice di primo grado abbia rigettato la domanda e l’interessato abbia appellato in ordine all’esclusione della sussistenza del requisito sanitario, come avvenuto nel caso in esame, la carenza del requisito economico è deducibile anche per la prima volta in appello, o rilevabile d’ufficio dal giudice di secondo grado, del quale il Ministero dell’Interno può censurare, con ricorso per cassazione, la decisione, espressa o implicita, in ordine alla sussistenza dello stesso requisito economico o dell’incollocazione, deducendo, con riguardo al caso di decisione implicita, il vizio di omesso esame di un punto decisivo.

Servizi digitali: al via le domande per il credito di imposta

Le domande possono essere presentate dal 20 ottobre 2022 (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – Comunicato 20 ottobre 2022)

Dal 20 ottobre 2022 (ore 10.00) fino al 21 novembre 2022 (ore 23.59) è possibile presentare la domanda per il credito d’imposta riconosciuto alle imprese editrici di quotidiani e periodici per l’acquisizione di servizi digitali, misura istituita dall’articolo 190 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, e prorogata, per gli anni 2021 e 2022, dall’articolo 1, comma 610, della legge 30 dicembre 2020, n. 178.
Le domande possono essere presentate dal titolare o legale rappresentante dell’impresa esclusivamente per via telematica, attraverso l’apposita procedura disponibile nell’area riservata del portaleimpresainungiorno.gov.it
Per l’assistenza nelle modalità di accesso al portale o per la compilazione della domanda è possibile consultare il manuale utente della procedura oppure contattare l’Help Desk al numero 06 64892717 dal lunedì al venerdì, dalle ore 9:00 alle 17:00.
Eventuali richieste di chiarimento potranno essere inviate tramite posta elettronica ordinaria alla casella dedicatacredito.digitale@governo.it.
Per maggiori dettagli consultare la sezione dedicata di questo sito oppure l’apposita pagina del portale impresainungiorno.gov.it.

Disciplina fiscale dei trust: nuovi chiarimenti dal Fisco

Forniti chiarimenti sul trattamento fiscale dei trust alla luce delle ultime modifiche normative e degli orientamenti espressi dalla giurisprudenza (Agenzia delle entrate – Circolare 20 ottobre 2022, n. 34/E).

La circolare in oggetto n. 34/E del 2022 fornisce indicazioni in materia di fiscalità diretta e indiretta dei trust alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità in materia di imposizione indiretta, nonché delle modifiche normative introdotte dal decreto legge 26 ottobre 2019, n. 1241 in tema di imposizione diretta.
In particolare, sul piano normativo, il decreto ha modificato la disciplina, ai fini della imposizione sui redditi, relativa alle “attribuzioni” a favore di soggetti residenti in Italia, provenienti da trust stabiliti in giurisdizioni che con riferimento al trattamento dei trust si considerano a fiscalità privilegiata.
Tale intervento normativo ha avuto quale finalità quella di fornire regole specifiche per l’imposizione delle predette “attribuzioni”, in particolare, da parte di trust opachi – ovvero di trust senza beneficiari di reddito “individuati” – allo scopo di evitare che la residenza fiscale del trust in un Paese con regime fiscale privilegiato, comporti la sostanziale detassazione dei redditi attribuiti ai soggetti italiani.
Nello specifico, il suddetto decreto detta indicazioni puntuali sul trattamento dei redditi corrisposti da tali trust, stabilendo:
– l’inclusione tra i redditi di capitale anche dei redditi corrisposti a residenti italiani da trust e istituti aventi analogo contenuto, stabiliti in Stati e territori che con riferimento ai redditi prodotti dal trust si considerano a fiscalità privilegiata, anche qualora i percipienti residenti non possano essere considerati beneficiari;
– una presunzione relativa, qualora in relazione alle predette attribuzioni non sia possibile distinguere tra redditi e patrimonio, l’intero ammontare percepito costituisce reddito.
Pertanto, in tema di imposte dirette vengono forniti chiarimenti sulle attribuzioni a favore di soggetti residenti in Italia, provenienti da trust stabiliti in giurisdizioni che si considerano a fiscalità privilegiata nonché in tema di imposta sulle successioni e donazioni. Viene chiarito che tale imposta deve essere applicata, in linea generale, al momento delle attribuzioni patrimoniali ai beneficiari, recependo così i prevalenti orientamenti giurisprudenziali formatisi di recente.
Con riferimento, invece, all’imposizione indiretta, si registra un orientamento della Corte di Cassazione, che dopo una lunga evoluzione si può ritenere allo stato attuale consolidato. In base a detto orientamento, la “dotazione” di beni e diritti in trust, ai fini dell’applicazione della reintrodotta imposta sulle successioni e donazioni, non dà luogo di per sé ad un effettivo trasferimento di beni o diritti e, quindi, ad un “arricchimento” dei beneficiari.
Invero, a parere dei giudici di legittimità, ai fini dell’applicazione delle predette imposte occorre avere riguardo non ad una indeterminata “utilità economica” della quale il costituente dispone, ma all’effettivo incremento patrimoniale del beneficiario.
Con riferimento alle imposte indirette, quindi, viene riconosciuto il diritto allo scomputo, a determinate condizioni, dell’imposta di successione e donazione eventualmente pagata, in base al precedente orientamento di prassi, all’atto dell’originario apporto di beni e diritti al trust.
Viene dato spazio anche a chiarimenti sul monitoraggio fiscale e sull’applicazione dell’imposta sul valore degli immobili detenuti all’estero (Ivie) e di quella sul valore delle attività finanziarie detenute dall’estero (Ivafe) dovuta da trust residenti in Italia.
Infine, la circolare esamina la disciplina agevolativa introdotta per i trust istituiti a favore dei soggetti con disabilità gravi con la legge n. 112/2016 (cosiddetta “Legge Dopo di Noi”).

Accertamento nei confronti di società cancellata: responsabilità dei soci

La Corte di cassazione con la sentenza 17 ottobre 2022 n. 30481 è intervenuta sulla responsabilità dei soci in caso di accertamento nei confronti di società cancellata.

Con riferimento alla responsabilità dei liquidatori, degli amministratori e dei soci di società in liquidazione, contemplata dalle distinte fattispecie di cui all’art. 36, D.P.R. n. 602/1973, la giurisprudenza di questa Corte offre una ricostruzione sostanzialmente unitaria delle fattispecie.

Si tratta di responsabilità per fatto proprio ex lege (per gli organi, in base agli articoli 1176 e 1218 c.c., e per i soci di natura sussidiaria), avente natura civilistica e non tributaria, non ponendo la norma alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari a carico di tali soggetti, nemmeno allorché la società sia cancellata dal registro delle imprese.

Tale responsabilità non è di per sé equiparabile all’obbligazione derivante dalla responsabilità verso i creditori, né è sovrapponibile, in quanto fondata su norma speciale, alla responsabilità dei liquidatori ai sensi dell’art. 2489 c.c. ed alla responsabilità “diretta” per danni provocati dagli amministratori nei confronti del socio o del terzo ex art. 2395 c.c.

Con riferimento specifico alla responsabilità dei soci, l’art. 36, comma 3, D.P.R. n. 602 del 1973, vigente ratione temporis, prevede che, ove abbiano ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta, precedenti alla messa in liquidazione, danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o abbiano avuto in assegnazione beni sociali dei liquidatori durante il tempo della liquidazione, i soci sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma (liquidatori o amministratori) nei limiti del valore dei beni stessi, salve le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile.

È dunque consentito al fisco di agire in via “sussidiaria” nei confronti dei soci “pro quota” e tale responsabilità è pur sempre “dipendente” da quella del liquidatore e dell’amministratore, nel senso che, per escutere i primi, è comunque necessario che sussistano anche i presupposti per la responsabilità dei secondi.

Gli stretti legami tra le fattispecie e, in particolare, la relazione di “dipendenza” della responsabilità del socio di cui al comma 3 da quella di cui al comma 1 (di liquidatori e amministratori) giustifica una considerazione unitaria anche con riguardo ai presupposti di esercitabilità delle azioni: la giurisprudenza consolidata di questa Corte, richiede la duplice condizione che i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione medesima, ammettendo l’iscrizione in ruoli anche provvisori.